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Il Natale ai Tempi dell'Impero

  • Emanuele Meloni
  • 28 nov 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 24 mag 2020

Quando si parla di un'Italia cattolica ci si riferisce alla fusione delle tradizioni religiose legate a Cristo con la cultura popolare attuale, fusione senz'altro favorita dalla presenza del Papato all'interno della penisola che per oltre un millennio ha esercitato anche il suo potere temporale (lo Stato Pontificio si generò dalle concessioni territoriali dell'VIII secolo e terminò di esistere nel 1870, in seguito alla presa di Roma).

Tale cultura cristiana ha riempito il calendario di festività che cadono in periodi dell'anno in cui anticamente si praticavano i culti pagani di origine greco-romana, oltre ad essersi logicamente affiancata alle ricorrenze ebraiche.

1. raffigurazione del Sol Invictus

Dopo la conversione al Cristianesimo l'imperatore Costantino decretò nel 330 il festeggiamento della natività di Cristo facendola coincidere con la festività pagana della nascita di Sol Invictus, che identificava varie divinità come Helios e Mitra e che costituì il pilastro del monotoeismo solare romano. Questo culto ha in realtà origine in Siria e in Egitto dove avvenivano celebrazioni solenni sulla nascita del Sole che prevedevano l'annuncio da parte di una vergine del parto di un neonato che rappresentava il Sole, che trionfava eternamente sulle tenebre.


2. moneta dell'imperatore Caracalla, sul retro il Dio Sole

Il culto del Sol Invictus, che fu ufficializzato dopo la riunificazione dell'Impero da parte di Aureliano nel 274 d.C., si festeggiava proprio il 25 dicembre e si inseriva all'interno di un ciclo di festività ben più antiche: i Saturnali.

I Saturnali erano feste di carattere popolare in onore degli dei Saturno e Plutone i quali si credeva vagassero per tutto il periodo invernale, quando la terra era incolta, e in virtù di ciò le loro ire dovevano essere placate con l'offerta di doni e lo svolgimento di feste in loro onore affinché potessero ritornare nell'aldilà e favorire i raccolti nella stagione estiva.

La peculiarità di questi eventi era l'abolizione delle distanze sociali: agli schiavi veniva permesso comportarsi come uomini liberi, invertendo così le gerarchie; tra di loro uno veniva scelto come princeps, vestito generalmente di rosso e che aveva il compito di dirigere la festa.

3. opera di Lucas Cranach raffigurante l'età dell'oro (1530 d.C.)

Ció che queste feste rappresentavano era la mitica età dell'oro, la cui leggenda racchiude l'obbiettivo che, non solo la cristianità ma tutte le religioni, avrebbero dovuto prefissarsi: un epoca in cui gli esseri umani vivevano in perfetta sintassi con la natura, dove non esistevano distinzioni, ne odio, ne guerre.

Così il poeta romano Ovidio ne celebrava la grandiosità: "Fiorì per prima l'età dell'oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri, senza bisogno di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine."

E ancora il poeta greco Esiodo: "come dèi passavan la vita con l'animo sgombro da angosce, lontani, fuori dalle fatiche e dalla miseria; [...] tutte le cose belle essi avevano."


Al giorno d'oggi il Natale si riconosce per le sue luci, i suoi decori, i sui banchetti, l'atmosfera che trasmette. Evoluzione lineare di quelle feste di tempi remoti che purtroppo, col nostro, hanno in comune il voler ipocritamente rappresentare ció che per l'essere umano sembra irrealizzabile: l'età dell'oro.

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