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Zingari

  • Emanuele Meloni
  • 30 gen 2020
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 19 set 2020

Errante per le vie del mondo vi è un popolo, una stirpe, una comunità affine a se stessa ma al contempo slacciata, rivendicatrice della propria cultura ma succube di innumerevoli appellativi, la cui fama è offuscata dal pregiudizio e dalla balorda reputazione incancrenitasi nel pensiero di chi la giudica dall'esterno. Molteplici nazionalità, ma un'unica grande storia che accomuna genti distanti tra loro, una storia fatta di viaggi, passioni, sofferenze, avventure, discriminazioni, una storia che potrebbe descrivere l'esistenza di qualsiasi essere umano.

Studi linguistici e filologici hanno individuato in molti vocaboli dell'idioma romaní

una derivazione dal persiano, dal greco, dal curdo e dall'armeno, rivelando la rotta migratoria percorsa da queste genti a partire dall'India e dal Pakistan in un lasso di tempo compreso tra il 700 ed il 1200 d.C., generando la diaspora dal continente indiano di un popolo sviluppatosi indipendentemente. Vari documenti storici redatti da studiosi medievali descrivono i "dom" indiani come una casta di basso rango sociale formata da gente dedita alle attività di spazzini, musicisti, cantanti, giocolieri, lavoratori del ferro ed inclina ai mestieri stagionali, e pronti ad evadere in quanto schiacciati dal sistema sociale a caste che vigeva a quel tempo.

1. Gruppo di gitani spagnoli. In Andalusia, regione al sud della Spagna, abita da secoli la più numerosa comunità "rom" della penisola Iberica e, probabilmente, il luogo che più di ogni altro in Europa ha permesso alla comunità di integrarsi meglio. I ristrettivi valori tradizionali dei gitani sono riusciti ad incastrarsi con le consuetudini dei villaggi andalusi, molto più efficacemente di quanto sia invece accaduto nei grandi centri urbani del nord del Paese. Il flamenco, divenuto simbolo del folklore spagnolo, si sviluppò tra le province di Siviglia, Cadice, Cordoba, Jerez e Malaga, originatosi come sfogo emozionale della minoranza gitana in Andalusia.

Le prime testimonianze della presenza del popolo rom in Europa orientale risalgono al X secolo, grazie agli scritti dei pellegrini che attraversavano la zona per arrivare in Israele, che documentarono la loro radicazione nei territori corrispondenti alla Turchia, alla Grecia e all'Armenia; le cronache del periodo, oltretutto, raccontavano della presenza degli Athinganoi, una setta eretica stanziata in villaggi rurali che praticava culti magici e di divinazione di origine pagana, e li appellava talvolta come zingani, talvolta come cygany, o ancora gitanos, gypsies: tutte etichette che accompagnano ancora oggi erroneamente il popolo rom, al quale è stato così tolto il potere di decidere come essere chiamati.


In realtà già da secoli i rom si erano ibridati con le genti di questi luoghi, anche se buona parte di essi continuava a spostarsi, e alcune tra le testimonianze più rilevanti emersero dai commercianti della Repubblica Marinara di Venezia che nel XIV secolo viaggiavano in Asia Minore: molti scritti dipingevano i rom come popolo maledetto, il quale non si stanziava nello stesso luogo per più di un mese, costretto perennemente al vagabondaggio. A partire dal 1100 d.C. circa la loro migrazione era già risalita attraverso i Balcani, dove risiede attualmente la più folta comunità europea, in Romania e Bulgaria; successivamente le loro diramazioni toccarono la chioma del continente europeo e, oggigiorno, praticamente ogni nazione ospita al suo interno ceppi di questa minoranza etnica.

2. Zingari pronti alla deportazione nei campi di concentramento nazisti. Durante la "Soluzione Finale" messa in atto dal Terzo Reich per decimare i giudei, i popoli rom e sinti vennero mescolati agli israeliti, ai comunisti e agli oppositori politici del regime, in quanto ritenuti razza inferiore, anche se per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca non rappresentava un pericolo diretto per il Paese. In totale vennero assassinati 500.000 innocenti; il medico e psicologo tedesco Robert Ritter fu uno dei più influenti teorici della razza e definì i rom come "una minoranza composta da un miscuglio pericoloso di razze degenerate, fatta di gente asociale e criminale". Nell'idioma romanì lo sterminio viene chiamato col nome "Porajmos", ossia "grande divoramento".

Nel corso del tempo questa migrazione non è solo stata il frutto della fiera natura nomade dei rom, ma è stata troppo spesso forzata da persecuzioni e stermini, in quanto quasi sempre essi appartenevano all'ultimo livello della gerarchia sociale, e la loro ghettizzazione nelle zone periferiche dei centri abitati ha sempre generato l'illusione che fossero un popolo in eccesso, pericoloso e da evitare. In realtà il dato oggettivo che emerge da un'osservazione esterna è semplicemente il loro atteggiamento di chiusura familiare, mosso da un'antica tradizione patriarcale che li vede uniti attraverso un forte legame di sangue e di gene. Nonostante tutto, molti di essi vivono ormai in maniera stanziale in molti degli Stati abitati, e la gran parte ne possiede la cittadinanza.

3. Danzatrice di flamenco in un'opera dell'artista argentino Fabian Pérez. Il termine flamenco allude ai vocaboli arabi "flang" (contadino) e "mengu" (errante), e fu il sinonimo di gitano nella Spagna del 1700. Inizialmente ballato e cantato malinconicamente senza l'utilizzo di strumenti musicali, come unico accompagnamento aveva il battito delle mani. Nell'Ottocento venne diffuso attraverso la penisola dai gitani e tra il 1860 e il 1910 fu riconosciuto dalle genti del luogo e si convertì nel genere musicale più amato dal pubblico spagnolo.









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